You’re a bum
You’re a punk
You’re an old slut on junk
Lying there almost dead on a drip in that bed
You scumbag, you maggot
You cheap lousy faggot
Happy Christmas your arse
I pray God it’s our last
You’re a bum
You’re a punk
You’re an old slut on junk
Lying there almost dead on a drip in that bed
You scumbag, you maggot
You cheap lousy faggot
Happy Christmas your arse
I pray God it’s our last
Pubblicato in Muzik
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Titolo originale: 20.000 days on Earth
Di: Iain Forsyth, Jane Pollard
Visto con un ritardo di: 1 anno
In: inglese
Perché sì:
– È un film? È un documentario? Chi siamo noi comuni mortali per saperlo. Nick Cave cerca di farci credere che conduce una vita normale e regolare. “Mangio, scrivo, gioco coi miei figli”. Forse non è più il folle eroinomane che era anni fa, ma lui e la normalità saranno sempre due cose che non hanno molto in comune, e la cosa è evidente anche in questo che non è né un film né un documentario, ma allo stesso tempo è un po’ entrambi.
– Ricordo al suo concerto di avere pensato che sia alquanto strano come un uomo oggettivamente brutto riesca a emanare un fascino piuttosto forte. Alcuni lo subiscono più di altri, forse, ma il magnetismo è innegabile. Credo che sentendolo parlare di come vive i live e di quello che cerca nelle sue esibizioni si capisca un po’ meglio da dove viene tutto questo. Sempre brutto rimani, Nick, ma tanto di cappello.
– A me lui che sale in macchina e spegne immediatamente la radio appena sente Can’t get you out of my head di Kylie Minogue ha fatto ridere tantissimo, perché è una scena che ha un sottotesto tutto suo. Che mattacchione.
Perché no:
– Si tratta di una visione piuttosto interessante (anche se non imperdibile, dal mio punto di vista) se già si è caduti nel vortice della sua musica, delle sue canzoni, del suo filosofeggiare e della sua perenne inquietudine. Ma si parte dal presupposto che chi guarda sappia già molto di Cave, quindi chiunque non conosca un po’ il suo mondo si troverà probabilmente a chiedersi cosa caspita sta guardando, e perché sta sorbendosi dei gran monologhi introspettivi di un tizio con la faccia sempre incazzata e dei gran dialoghi con gente che non viene nemmeno identificata con una scritta in sovrimpressione.
– Il fatto che Nick Cave abbia degli archivisti che si occupano delle sue foto e dei suoi scritti la dice lunga sulla considerazione che ha di sé stesso e di quello che produce. Immagino che la parte “documentaristica” volesse essere rappresentata proprio dalla visita all’archivio, dove in tutta velocità si parte dall’infanzia e si arriva ai successi musicali. Ma sorbirsi racconti senza capo né coda guardando foto e oggetti a caso come quando fai visita ai nonni non equivale a fare un documentario.
UPDATE: mi dicono che l’archivio non esiste ed è solo una trovata per il film. Meno male perché l’avevo trovata una cosa veramente esagerata pure per il soggetto in questione.
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“Hey girls, hey boys, superstar DJs, here we go!”
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“I’ve been here so long, I think that it’s time to moveThe winter’s so cold, summer’s over too soonLet’s pack our bags and settle down where palm trees grow”
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Era suppergiù il 1996, eravamo dei pischelli con in testa il punk rock e poco più, e ci siamo un po’ tutti innamorati di una band californiana capitata per caso in Italia come supporto dei Green Day. Io più che altro mi ero un po’ innamorata del biondino al basso, ma siamo stati tutti adolescenti, no?
Ora sono passati quasi vent’anni e di certo non abbiamo più in testa solo il punk rock, purtroppo o per fortuna. Continua comunque a essere una delle cose che ci lega, anche grazie al fatto che il cantante della band di cui sopra, suo malgrado, è diventato un nostro regalo di nozze (storia lunga ma bellissima, vedi link, che contiene altro link in inglese – un giorno ne farò un post strappalacrime qui, promesso).
Oltre a questo, però, è anche diventato scrittore con il fetish delle foto di gente che legge i suoi libri. E quindi eccoci qui.
Non so a chi possa interessare, ma l’intero album che ce li ha fatti conoscere si trova su YouTube. Niente panico, trattandosi di punk rock supera di poco i 30 minuti, e se proprio non vi fa schifo il genere consiglio vivamente di dedicarglieli. Per me è, molto semplicemente, un pezzo di vita.
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I never married
Never had those kids
I loved too many
Now heaven’s closed its gates.
Nata di marzo, nata balzana,
casta che sogna d’ esser puttana,
quando sei dentro vuoi esser fuori
cercando sempre i passati amori
ed hai annullato tutti fuori che te.
Ma io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri,
quei quattro stracci in cui hai buttato l’ieri,
persa a cercar per sempre quello che non c’è.
Io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri,
quei quattro stracci in cui hai buttato l’ieri
persa a cercar per sempre quello che non c’è.
Io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri,
quei quattro stracci in cui hai buttato l’ieri
persa a cercar per sempre quello che non c’è.
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Poi spavalda e spocchiosa vai al concerto dei Pearl Jam “giusto perché mi hanno regalato il biglietto”, “ormai sono parecchi anni che non li ascolto” e poi “non sono una da concerti allo stadio”, e alla seconda canzone stai già piangendo di emozione e di nostalgia.
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Anche se mi hanno fatto un concerto mediocre, non posso ascoltare questa canzone senza volergli tanto bene.
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È sera, stai facendo un lavoro che riguarda questa canzone, quindi ti vai a vedere il video per capire di cosa si tratta.
Ora, si dà il caso che tu sia molto stanca e molto scazzata. Già dalle prime note ti senti presa per il culo, perché le tue occhiaie non sono per un cazzo happy e non lo è neanche il telefonino che si è rotto, la montagna di cose che hai da fare in pochi giorni o il tuo stato d’animo da qualche settimana a questa parte. Non è proprio la tua colonna sonora, tu che oggi ascoltavi De André in treno e ti veniva da piangere. Ciò non toglie che a metà canzone tu non riesca a smettere di ondeggiare a tempo, né a pensare niente se non che il signor Pharrell Williams non ne sbaglia una dai tempi dei N.E.R.D., mannaggiallui.
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