
Domani è il mio ultimo giorno nell’ufficio dove lavoro da sei anni a questa parte.
Sei anni sono tanti. In un posto come quello che lascio, poi, che ti succhia anima e corpo e si impossessa della tua vita in un modo spaventosamente totalizzante, sono VERAMENTE tanti.
Cose che mi mancheranno:
– le cavallette che, appena arriva una mail che notifica la presenza di cibo alla macchinetta del caffè, escono dai loro uffici alla velocità della luce e si avventano su qualsiasi improbabile schifezza portata dai più remoti angoli del mondo (o delle credenze di casa).
– lavorare con copioni i cui personaggi sono per la maggior parte mostri disumani, alieni, morti viventi, guerrieri ipermuscolosi e donne parecchio discinte.
– una manciata di persone tra colleghi, clienti, fornitori e, ebbene sì, anche capi. Però quella manciata la porterei via con me anche subito, se ne avessi la possibilità.
– la palestra a fianco al lavoro che, essendo in pieno hinterland, è frequentata al 60% da sudamericani, al 30% da nordafricani, e al 10% da gente dell’ufficio. Mi ci trovavo molto bene, a parte per la gente dell’ufficio (scherzo, è che mi piace metterla giù pesante).
– poter entrare in ufficio fino alle 9.45, e di conseguenza potermi alzare alle 8 senza arrivare in ritardo. Mi viene da piangere solo a pensare a che ora dovrò alzarmi in futuro per entrare alle 9 senza eccezioni.
– l’imprecazione altisonante e libera davanti a chiunque, titolari compresi. Se nel prossimo ufficio non sarà permesso dovrò imparare delle tecniche di autocontrollo molto efficaci, e in fretta.
Cose che non mi mancheranno:
– fingere di non aver sentito quando la gente mi chiede invano se posso far ottenere giochi e console scontati, “perché tu ci lavori”. Il massimo che posso fare è farmi prestare i giochi dai colleghi nerd.
– rinunciare alla mia vita sociale, alle mie abitudini e soprattutto alla mia sanità mentale perché la gente possa giocare dei videogiochi nella propria lingua. Se proprio devo annullarmi per qualcosa, che sia perlomeno per ottenere la pace nel mondo, trovare la cura per il cancro o scongiurare l’estinzione di tutte le specie a rischio del pianeta. Oppure potrei evitare di annullarmi, magari, che onestamente è l’opzione che mi alletta di più.
– una persona di cui dirò solo una cosa, perché mi sto già esercitando col suddetto autocontrollo: dopo una settimana al lavoro con lui anche il Dalai Lama passerebbe all’uso della violenza.
– la maledetta strada su cui tutto o buona parte del nord della Lombardia si riversa per arrivare a Milano ogni mattina. Ok, passo all’incognita treno, ritardi, guasti, scioperi e tanto altro ancora, ma non credo mi guarderò indietro con nostalgia molto spesso.
– le trasferte estere traumatizzanti (per me, per tutto l’ufficio e per tutto il Giappone).
– lavorare in un open space con altre 15 persone. L’inferno è sicuramente più silenzioso, più fresco e più accogliente.
PS: l’idea di questo post mi è venuta grazie a quest’altro, ben più amaro e toccante.
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