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Sound City

Di: Dave Grohl

Visto con un ritardo di: meno di un anno!

In: inglese

IMDb

Perché sì:

– Sto cercando di immaginare cosa farei se mi ritrovassi in una stanza con Dave Grohl, Trent Reznor e Josh Homme. Da un lato, considerato che subisco pesantemente il fascino del palcoscenico, potrei essere pericolosa. Dall’altro credo che mi inebetirei, assumerei la mia espressione da totano tipica dei momenti di imbarazzo e me ne starei zitta e buona in un angolo, sperando non si noti troppo che non sono degna.

– Circa tre nanosecondi di intervista al bassista dei BRMC che sbiascica due frasi ed evita di guardare nella telecamera, come un bimbo autistico, e sigla finale suonata e cantata da Dave sempre con i miei amichetti. In un film sulla storia del rock e con innumerevoli riferimenti a diversi mostri sacri del genere, queste due cose per me sarebbero sufficienti per consigliarne la visione. Dave, ti stimo fratello.

– Io non posso dirmi una purista del rock; se volessi farlo, dovrei come minimo cancellare dalla faccia della terra chiunque mi abbia conosciuta nel mio periodo Take That, il che potrebbe crearmi qualche problema. Non credo certo che la musica elettronica sia il male, ma sicuramente apprezzo una chitarra aggressiva e una batteria incalzante più di qualsiasi meraviglia generata da un computer. Sarà anche che musicalmente sono in una fase di riscoperta del passato, ma quello che ho apprezzato in Sound City è come venga comunicato, anche se magari in modo un po’ troppo categorico, lo sconforto che può far provare l’evoluzione che ha avuto la musica negli ultimi 20 anni o gù di lì.

Perché no:

– Qualcuno mi dica chi diavolo è questo Rick Springfield che viene messo su un piedistallo e intervistato per circa metà film. Non che sia l’unico che non avevo mai sentito nominare, eh. Forse certi nomi sono intrinseci alla cultura americana e qui sono poco conosciuti. O forse sono ignorante io.

– Dave, mi sei un sacco simpatico e io lo so che diventeremmo amiconi se solo tu mi conoscessi, ne sono certa. Però per quanto ti consideri geniale devo dire che da questo film ne esci un attimino pieno di te, lasciatelo dire. Senza nulla togliere ai tuoi meriti, non è che ti sei dipinto un po’ troppo come il salvatore dei veri valori del rock? Mannò, sicuramente mi sbaglio, quindi chiamami pure quando vuoi, davvero.

Suicide’s easy, what happened to the revolution?

Ti accorgi di essere invecchiata quando vai al cinema con la stessa frequenza con cui prima andavi ai concerti. Ogni tanto però vale la pena ritornare alle vecchie abitudini.

PS: non mi sono dimenticata di avere un blog, sono solo molto impegnata e in procinto di affrontare un po’ di cambiamenti, quindi con la testa sempre piena di futili  e ben poco interessanti preoccupazioni pratiche. Tornerò a scrivere qualcosa di diverso dalle schede dei film, promesso (visto che c’è gente che mi fa notare che quelle hanno rotto le palle… no ma con affetto, eh).

Just a perfect day (musicalmente parlando)

Ci sono dei rari giorni in cui ti svegli e sei più ricettiva del solito, in cui non attraversi la giornata da zombie e coi paraocchi come al solito, tanto per tirar sera.

E se azzecchi la musica giusta, in un giorno così, ti sembra sia la cosa migliore mai scritta nella storia: qualcosa che ti si cuce addosso e ti dà energia e rende bellissimo tutto quello che vedi mentre la ascolti, che siano le macchine in coda, i colleghi, gli alberi fuori dalla finestra, o il soffitto.

E la vorresti far sentire al mondo, per far capire a tutti che ecco, quella musica lì è perfetta per te, per come i tuoi neuroni han deciso di girare quel giorno. Che quella musica, in quel momento, sei tu.

L’unico inconveniente in tutta questa poesia è che vorresti anche avere un fucile a pompa a portata di mano per eliminare tutti quelli che ti interrompono, così da poter continuare a sentire la tua musica perfetta, e basta.